Port Elizabeth - In Sud Africa con Doyle

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Port Elizabeth – Un rabbino di mente aperta – Il Giardino della Morte – Una strana canoa – Port Elizabeth – Reminiscenze del 1900 – Un malinteso politico – Il bywoner – Sanna Post - Maritzburg – Incontro con alcuni amici – I voortrekkers – Lo spirito di un cane.

La mattina di giovedì 28 novembre, quando siamo saliti in coperta era già stata gettata l’ancora. Davanti ai nostri occhi si dispiegava il magnifico panorama di Algoa Bay, al centro della quale sorge Port Elizabeth, con le sue case bianche dai tetti rossi, allineate a formare un semicerchio. Dal mare, la città appare molto bella e deve anche essere molto fiorente, oltre che una delle più progressiste dell’Unione e probabile futuro centro industriale. La popolazione bianca è di 29.000 abitanti, in prevalenza britannici, con altrettanti servitori di colore.
 
   Ci è stato detto che sui fatti paranormali questa città era meno arretrata delle altre e questo era evidente mentre il nostro battello si avvicinava alla banchina. Un gruppo di persone, che per venire a darci il benvenuto doveva essersi alzato molto presto, sventolava i cappelli e i fazzoletti e ci acclamava ad alta voce. Appena sbarcati, siamo stati circondati da visi sorridenti e da mani tese. Non c’erano ecclesiastici cristiani a darci il benvenuto, ma questo non era sorprendente. Era sorprendente, invece, oltre che gratificante, trovare nella deputazione un rabbino ebreo, il signor Levi. Segno che l’appello universale del nostro movimento era stato recepito. Nel corso della conversazione, mi sono accorto che egli aveva studiato a fondo la materia e che si era convinto della sua validità a livello razionale, anche se non aveva mai avuto esperienze paranormali. Il suo era un atteggiamento perfettamente logico, ma raro, dato che in genere il punto di vista “scientifico” è quello assurdo di chi, non avendo mai visto cadere degli aeroliti, nega che essi esistano.
 
   Ho scoperto con disappunto che l’incarico di presidente della riunione era stato affidato a una donna, la signora Lucy Smith. Ho orrore dei presidenti che anticipano nei dettagli i contenuti delle mie conferenze o che irritano l’uditorio dando per scontate cose che devono essere dimostrate. Tuttavia, visto che era presente il mio amico Ashton Jonson, avrei dovuto sentirmi tranquillo. La signora Smith, che possiede il dono raro fra le donne di una voce ben udibile, unito a un aspetto gradevole e a un atteggiamento amichevole, si è comportata in modo splendido. Non ho avuto motivo di rimpiangere la scelta locale. Al termine del ricevimento, siamo tornati in albergo, all’Hotel Humewood, dalle cui finestre anteriori si gode una meravigliosa vista sul mare. Mentre scrivo in soggiorno, la linea di spuma bianca dei frangenti è proprio sotto di me. Dietro ad essa, i meravigliosi chiaroscuri blu e verde bottiglia, al di là delle quali c’è l’enorme distesa d’acqua blu scuro chiazzata di viola. Per tutto il giorno il sole ha illuminato un paesaggio magnifico. E’ un presagio di successo.
 
   Siamo in viaggio verso il Parco dei Serpenti, uno dei luoghi di interesse turistico della città, la cui esistenza è dovuta al signor Fitzsimmons e a sua moglie, che insieme hanno creato e portato avanti quest'impresa straordinaria. Egli è un uomo di circa 45 anni, che dimostra meno della sua età, acuto, attento e perspicace, con tutte le stimmate del genio. Sono stato contento di scoprire che entrambi sono a conoscenza delle verità paranormali. La signora Fitzsimmons mi ha mostrato una fotografia scattata da Hope di Crew nel corso di una seduta, nella quale, sopra alla testa di suo marito, si vede un bellissimo ritratto della sorella morta.
 
   Da dietro a un parapetto basso, necessario a proteggerci, abbiamo osservato i serpenti, che si trovano nel giardino con le rocce, circondato da un piccolo corso d’acqua. C’erano serpenti di tutti i tipi, scuri, verdi, marroni e rossi. Alcuni erano addormentati, altri si contorcevano o sollevavano la testa. I più aggraziati erano quelli che nuotavano, formando nell’acqua chiara delle belle linee ondeggianti verdi e gialle. C’erano il mamba, di colore scuro, che uccide in venti minuti, il terribile cobra giallo e la scura e variegata vipera del deserto, dalla testa ripugnante.
 
   A un certo punto, in questo posto che sarebbe appropriato chiamare Il Giardino della Morte, ha fatto la sua comparsa un uomo sorprendente, un negro robusto, color carbone, con un viso allegro e sorridente, le mani protette dai guanti e alti gambali di cuoio. Questo gagliardo individuo si è calato nella fossa dei serpenti e ha cominciato a prendersi ogni sorta di libertà con essi. Naturalmente egli sapeva quali erano pericolosi e quali innocui e solo con questi andava agli estremi, tuttavia camminava senza preoccupazione in mezzo ai cobra e ai mamba, che si drizzavano e gli mordevano le ghette. Era già stato morso tredici volte e l’ultima gli sarebbe stata fatale se il signor Fitzsimmons non gli avesse prontamente somministrato il siero contro il loro morso. Sapendo che i nostri due ragazzi amavano andare a caccia di serpenti, abbiamo pensato che fosse saggio acquistare un set completo di bisturi, siringa e antidoto, da usare in caso di incidenti nel corso dei nostri spostamenti successivi. Prima di partire, siamo stati fotografati con i serpenti in mano e non c’è bisogno che dica che non si trattava di cobra né di mamba.
 
   I serpenti sono creature strane, dal comportamento inaspettato. In questo parco, essi vivono in perfetta amicizia, grandi e piccoli, attorcigliandosi l’uno all’altro in completa fratellanza. Non sembra esserci alcunché di malvagio nella loro natura. Qualche tempo fa, il signor Fitzsimmons ha messo alcuni topi nello spazio recintato dei pitoni. La mattina dopo ha scoperto che i topi avevano ucciso quattro pitoni. Quelle grosse creature sonnolente apparentemente erano state così insensibili da non accorgersi che i piccoli roditori avevano scavato dei buchi nei loro corpi intorpiditi.
 
   Fitzsimmons è uno di quegli uomini di genio che illuminano tutto ciò che toccano. E’ anche un bravo organizzatore, dote tutt’altro che comune in un genio. Il piccolo museo locale è stato costruito grazie ai suoi sforzi. La tossina dei serpenti da lui scoperta è conosciuta in tutta l’Africa, ma egli ha fatto esperimenti che lo hanno convinto che questo fluido è una cura adatta a curare anche l’epilessia. Egli ha raccolto le testimonianze di molte persone guarite grazie ad esso. La sua argomentazione è valida, ma, dato che non ha una laurea in medicina, egli non può presentare i propri risultati sulle riviste scientifiche e nei congressi e di questo si duole molto. La sua accusa sembra molto seria e merita di essere indagata, perché le osservazioni di un uomo simile sono troppo preziose per chi soffre e non devono essere ignorate.
 
   Il signor Fitzsimmons mi ha raccontato una storia sorprendente. Alcuni anni fa nella Baia di Algoa arrivò una canoa scavata in un tronco, che andava alla deriva. Dopo averla esaminata, egli stabilì che si trattava del legno di una pianta che non cresceva in Africa. Ne tagliò un pezzetto e lo mandò a Oxford. La risposta degli esperti fu che il legno proveniva da Giava o da Sumatra. Quel fragile guscio, spinto dal vento e dalle correnti, aveva attraversato tutto l’Oceano Indiano, come le caravelle di Colombo avevano attraversato l’Atlantico.
C’è un punto splendido per nuotare, nel quale arrivano grandi onde lunghe simili a quelle di Manly in Australia, che è protetto da un’inferriata tutt’intorno perché al largo della costa ci sono gli squali. Il signor Ashton Jonson e Billy si sono divertiti in acqua e io mi sarei volentieri unito a loro, ma purtroppo non è stato possibile trovare un costume da bagno della mia misura.
 
   La sera, il Teatro dell’Opera era pieno. Un caro, vecchio Spiritualista ultraottantenne è salito sul palco per offrirci uno splendido  kaross, adatto a ornare un palazzo, ma le sue parole gentili ci hanno fatto ancora più piacere del bel tappeto. Mi era stato detto che fra il pubblico era presente l’élite della città e del distretto e avvertivo un’atmosfera molto progressista. Quando ho detto che il Rabbino aveva voluto incontrarmi, tutti hanno applaudito rumorosamente e quando ho rifiutato di accettare come argomento di discussione una citazione della Bibbia, dicendo che in essa non vi è alcun testo che non ne abbia anche un altro che lo contraddice, hanno applaudito ancora di più. La maggior parte delle domande erano molto intelligenti, tranne qualcuna che sconfinava nel grottesco. Un uomo voleva sapere se in paradiso ci sono gli  appartamenti. Ho risposto che dalle nostre informazioni risultava che ci fossero molte case, ma che non potevo essere più dettagliato. La pila di domande scritte era talmente alta che sono stato impegnato con le risposte dalle 20.15 alle 22.20. Ero stanco, ma non esausto. Tutto considerato, era stata una serata riuscita.
 
   La mattina dopo abbiamo esplorato le numerose bellezze di Port Elizabeth. Siamo andati in auto fino a Punta Shoenmaker, a dieci miglia di distanza, dalla quale si gode una bellissima vista sul mare. Ma l’intero tragitto è di una bellezza da sogno. I ragazzi sono andati a far visita a un amico, il signor George Clarke, che possiede un aranceto e una fattoria per la produzione di latte e latticini, lontana circa trenta miglia. Sono tornati raggianti e pieni di fango dopo una giornata piena di eccitanti avventure e hanno fatto la loro comparsa in una delle stazioni lungo la strada per Bloemfontein dove avevamo appuntamento. Ci è stato detto che nell’hinterland vi sono molte scimmie e che a qualche miglio dalla fattoria del signor Clarke, ad Addo, in un pezzo di macchia molto fitta, quasi impenetrabile, vive un branco di elefanti protetti dalla vegetazione e dalla propria aggressività. Stentavamo a crederlo. Confesso che non avrei mai immaginato che degli animali selvatici di simili dimensioni potessero vivere così vicini a una grande centro civilizzato.
 
   La sera tardi siamo partiti per Bloemfontein. Il marciapiede della stazione era affollato di persone care e generose, che si erano radunate per farci un applauso d’addio, accompagnato da saluti ad alta voce. Era piacevole portare con noi il ricordo dei loro visi felici e sorridenti.
Il faticoso viaggio verso la capitale dello Stato Libero di Orange è durato ventisei ore e quando, la sera del 1° dicembre siamo arrivati a tarda ora all’hotel Polley, eravamo sfiniti. In Sud Africa i treni non sono lussuosi – i sedili sono di pelle, non di velluto – ma non manca nulla di quello che ci si può ragionevolmente aspettare. Di tanto in tanto c’è una fastidiosa invasione di insetti, ma noi non siamo stati molto molestati. Si racconta di un viaggiatore che era stato punto seriamente e aveva mandato alla direzione una furibonda lettera di protesta. La sua collera era stata placata dalla risposta cortese e conciliante ricevuta, fino a quando dalla busta non era scivolato fuori un foglietto su cui c’era scritto: “Mandare a questo tizio il nostro prestampato per gli insetti.”
 
   Man mano che ci addentravamo nel veld mi tornavano in mente molte cose del passato. Al crepuscolo, cominciavano a brillare le luci di Bloemfontein. Il tramonto era stato meraviglioso, una linea color cremisi aveva infuocato l’orizzonte, al di sopra della quale c’era una distesa di un delicato colore verde mela oscurata in alcuni punti dalle lunghe nuvole nere della sera, gli ornamenti più dolcemente malinconici della natura. Il verde mela è diventato blu scuro e questo si è fatto di un intenso porpora, al centro del quale brillava Venere. Tutt’intorno, nella luce fioca, si vedeva la grande pianura e le fantastiche collinette che si stagliavano in lontananza. Dov’erano i ragazzi che un tempo erano qui con me sul treno pulsante di vitalità e che, quando dai fuochi di guardia lungo il percorso giungeva la domanda, gridata: “Chi siete?” urlavano in risposta: “Siamo il Cameron.” Quel nobile battaglione era arrivato insieme al nostro ospedale. Loro combattevano i Boeri, noi combattevamo la febbre enterica, entrambi abbiamo perso molti uomini. Non so quale dei due nemici sia stato il più letale.
 
   Abbiamo dedicato la nostra prima mattina a Bloemfontein a visitare i luoghi che frequentavo un tempo. Siamo saliti con l’auto sopra a un’altura che domina la città e mi sono reso conto di quanto il luogo si fosse ingrandito e avesse prosperato. Poi siamo scesi al bel campo di cricket Rambler, che sorge nel luogo in cui, in mezzo al fango, era accampato il nostro ospedale. La grande stanza del padiglione era la nostra sala principale, nella quale ho visto morire molti uomini. Non è cambiata e, nel piccolo palcoscenico vuoto in fondo, lo scenario del H.M.S. Pinafore dava un tocco macabro alle scene orribili a cui avevo assistito in quella stanza. Infine, siamo stati portati a vedere due monumenti, uno dei quali commemora le battaglie dei coraggiosi cittadini olandesi contro i Kaffir.
 
   L’altro monumento ha alla base le tombe del generale de Wet e del presidente Steyne, due uomini buoni e coraggiosi, davanti ai quali mi sono tolto volentieri il cappello. Tuttavia, esaminando l’iscrizione sul monumento, che commemora la morte  di 26.000 donne e bambini nei campi di concentramento e, per quello che capisco di olandese, mi è parso che la scritta desse la colpa ai britannici di quelle perdite. Al giornalista olandese che era con noi ho detto che quell’affermazione non corrispondeva a verità e che era vergognosa. Anziché spiegarmi il significato dell’iscrizione che - mi hanno detto in seguito - non è offensiva, il giornalista ha pubblicato un’intervista sul Volksblad, il più importante giornale olandese, da cui si desumeva che io avevo criticato il monumento, quasi che le donne e i bambini non avessero il diritto ad averne uno. Non fa meraviglia che la cosa, per metà fondata su un malinteso e per metà sul travisamento, abbia fatto rumore in città.
 
   Il mattino dell’intervista sono andato dal caporedattore del Volksblad, un gentiluomo molto cortese, che ha ascoltato con attenzione il mio racconto e quello di Ashton Jonson, volto a mettere in giusta luce l’accaduto. Ho detto che, essendo l’iscrizione in afrikaans, non in olandese, io l’avevo fraintesa. Non c’era stata intenzione, da parte mia, di gettare discredito su nessuno, le mie osservazioni erano semplicemente frutto di un equivoco. Ho fatto notare che il giornalista olandese, che era all’origine di questo guaio, avrebbe dovuto avvertirmi del mio errore. Poi ho preparato una lettera con il contenuto della nostra conversazione che sarebbe apparsa sul giornale il giorno dopo. I cittadini olandesi non erano al corrente del cambiamento della situazione e, nel pomeriggio, un cosiddetto commando di alcune centinaia di giovani si è radunato davanti all’hotel minacciando violenze. Noi eravamo lontani, impegnati in una gita in auto a Bradford Plain e, prima del nostro ritorno, quelle persone erano state disperse dalla polizia. A causa delle minacce nei nostri confronti, alcuni amici ci hanno consigliato di salire sul primo treno in partenza dalla più vicina stazione fuori città. Naturalmente era una cosa impensabile e la mattina dopo, quando siamo partiti regolarmente, non siamo stati affatto molestati. Alcuni resoconti dell’accaduto sono giunti anche in Inghilterra e io ho avuto l’occasione di vederli solo dopo mesi. Forse si è creata l’impressione che io abbia cambiato versione in seguito alle minacce di quella banda di violenti. Tuttavia, la cosa è completamente falsa, perché la dimostrazione ha avuto luogo alcune ore dopo la mia spiegazione.
 
   Ero venuto a conoscenza dei fatti al tempo in cui erano accaduti ed ero sicuro del fatto mio. Verso la fine della guerra, i Boeri e i Britannici avevano radunato tutto il bestiame e abbattuto l’abbondante selvaggina del veld. E poiché, nella guerriglia, era impossibile distinguere i Boeri
combattenti dagli innocui contadini, si rese necessario concentrare tutti i maschi in luoghi prestabiliti. In questo modo, però, le donne e i bambini, soprattutto quelli che vivevano in fattorie isolate, correvano il rischio di morire di fame e di essere attaccati dai kaffir. Il Governo Britannico non poteva abbandonarli alla loro sorte, così li radunò dentro ad alcuni campi vicino alla ferrovia, dove si poteva far arrivare il cibo. Sfamare le mogli mentre eravamo in guerra con i mariti fu uno straordinario atto di clemenza. Sfortunatamente, il paese fu colpito da un’epidemia di febbre enterica, di morbillo e di scarlattina, che provocò la morte di molte persone, anche se credo che la mortalità nei campi non sia stata più alta che in città. Date queste circostanze, un monumento che causi rancore verso i Britannici, incolpandoli, sarebbe una cosa inaccettabile, ma mi è stato assicurato che una simile accusa non era nelle intenzioni.
 
   Questo incidente politico a Bloemfontein ha avuto molte ripercussioni. In un fondo piuttosto fiacco, il Cape Argus ha descritto il mio intervento come “privo di tatto”. Ma c’è un punto in cui è difficile distinguere il tatto dalla viltà e se un suddito britannico può guardare un’iscrizione che gli appare come un insulto e una diffamazione del suo paese senza protestare, questo punto è stato raggiunto. Non è questa la tradizione della nostra razza. D’altra parte se, come mi ha assicurato il caporedattore del Volksblad, l’iscrizione è inoffensiva, la mia protesta è il risultato di un giudizio erroneo favorito dal giornalista olandese al mio fianco. Dopo questo episodio, tuttavia, è venuto a galla che molti britannici, a loro volta tratti in inganno dall’iscrizione,  avevano la mia stessa opinione sul monumento. Uno dei cittadini più in vista mi ha scritto: “Vorrei umilmente ringraziarla per aver parlato con franchezza di quell’infelice ‘monumento all’Odio’, che deturpa questa città e contribuisce ad alimentare l’odio razziale che è la maledizione e la debolezza del Sud Africa.”
 
   Su alcuni giornali nazionali è apparsa una grande quantità di insulti nei miei confronti, che non mi hanno offeso, ma hanno turbato la coscienza di alcuni cittadini olandesi. Ecco una delle lettere che ho ricevuto:
“Caro Signore,
in qualità di Sudafricano di lingua olandese e strenuo nazionalista, desidero farle sapere che considero ingiustificati e del tutto fuori luogo gli insulti che le sono stati rivolti.
Avendo letto le sue opere e conoscendo i suoi sentimenti verso l’umanità in generale, sono sicuro che non era sua intenzione offendere alcuna parte della comunità. I meschini commenti su ons Vaderland dovrebbero essere trattati con il disprezzo che meritano. Mi sembra che questo attacco alla sua missione in Sud Africa oltrepassi i limiti della decenza e che si debba essere rosi dalla malignità per giungere a questo livello.
La autorizzo a fare l’uso che crede di questa lettera.”
Avrei reso un pessimo servizio al mio gentile corrispondente se avessi reso pubblico il suo nome, anche se ero autorizzato a farlo. Vorrei anche dire ai miei amici olandesi che avrei protestato con lo stesso vigore per un’iscrizione messa dai Britannici che gettasse un’ombra sull’umanità dei Boeri e causasse attriti razziali.
 
   La sera siamo andati con due auto a Sanna Post, dove furono inflitte gravi perdite alla batteria Q e dove Hornby ebbe la sua V.C.. Avevo un ricordo vivo di questo posto, di quando le carcasse dei cavalli indicavano ancora la disposizione delle armi da fuoco/cannoni. Il paesaggio non era molto cambiato. Uno dei nostri autisti aveva combattuto a fianco di De Wet e da lui abbiamo sentito la storia vista dall’altra parte. Il vecchio acquedotto era ancora in piedi e io penso che l’errore di Lord Robert, l’unico da lui fatto nella campagna in Sud Africa, sia stato di non essersi diretto subito a est per potersi garantire l’approvigionamento di acqua dal quale era stato tagliato fuori. Quella sventurata omissione contribuì ad aumentare le nostre perdite, visto che morirono più uomini per malattia che per le pallottole. Stento a credere che questa città così pulita, fresca e salubre sorga nel luogo infernale in cui seppellivamo sessanta uomini al giorno e il cui odore si avvertiva a miglia di distanza.
 
   Sulla via del ritorno siamo passati accanto a un uomo bianco vestito di stracci come un kaffir, con un’espressione fiera ed energica, una barba gialla e crespa, occhi blu e la figura di un Adone. E’ uno dei Boeri senza terra, l’esempio di un problema di difficile soluzione. Nipote degli uomini che hanno conquistato questo territorio, egli ne è stato diseredato ed è rimasto, per capriccio del fato, senza neanche una iarda su cui vivere. Egli è il mezzadro, il Boero delle remote pianure, forse ignorante, ma vigoroso e capace, buon cacciatore e combattente.
La fattoria appartiene ai fratelli maggiori e i soldi per comprarne un’altra non ci sono. Che cosa può fare? I Voortrekkers, i Boeri dell’Angola, i pionieri di Stellaland e tutti gli strani virgulti che spuntano sul vecchio albero olandese hanno origine da questa situazione. Sono individui splendidi, a cui il destino crudele ci mette ogni tanto in opposizione.

  La nostra missione spiritista a Bloemfontein sembra aver avuto un grande successo, malgrado la disavventura politica. Lo provano i molti messaggi e le lettere che abbiamo ricevuto. Non posso trattenermi dal citarne uno: “In un’epoca materialista come questa, l’aver fatto parte di un uditorio di più di duemila persone che hanno ascoltato affascinate un sermone sull’immortalità dell’anima durato più di due ore e pronunciato non in chiesa ma in un teatro, è stata un’esperienza meravigliosa. Molti, venuti per farsi beffe, sono rimasti per pregare. Non posso fare a meno di pensare a un paragone biblico: “Quando sentirono parlare della resurrezione dei morti, alcuni si burlarono, ma altri dissero: ‘Ti ascolteremo ancora su questo argomento.’ Sono cose come questa che aiutano ad andare avanti.”
 
   Poco prima di partire ho incontrato Leonard Flemming, un uomo di mezz’età, piccolo e forte, con tutte le qualità di uno scrittore importante. Le sue opere, indispensabili a chi voglia stabilirsi qui a coltivare la terra, dovrebbero essere più conosciute anche in Inghilterra. Flemming è nato in Australia ed ha cominciato a rendersi utile nella fattoria di famiglia, in mezzo al bush, appena ha imparato a camminare. Perciò non bisogna dimenticare che quello che è possibile a lui potrebbe risultare impossibile a un comune emigrante.
Nella capitale dello Stato Libero dell’Orange ho incontrato altri uomini che sono stato felice di conoscere. Fra di essi, c’era un elegante pastore metodista, un Gallese di nome Frank Edwards che, malgrado l’abito religioso, nel 1914 si era arruolato come soldato semplice ed era stato presto promosso a comandante della compagnia. Mi ha raccontato una visione avuta in Francia, in cui gli era apparsa la madre morta, che lo aveva preso per mano e guidato fuori dalla trincea coperta. Subito dopo, questa era crollata. Esistono molte storie simili ed è strano che venga deriso l’unico sistema filosofico in grado di spiegarle!
 
   Un altro personaggio di rilievo era il generale Grobler, un uomo dall’aspetto distinto, amministratore dello Stato. Nella battaglia di Stomberg, egli comandava i Boeri e mi ha fornito un resoconto molto interessante dell’attacco di Gatacre, condotto molto bene e di sorpresa. Sulla collina, i Boeri erano sul punto di arrendersi quando Gobler arrivò al galoppo con trecento uomini a cavallo dietro ai cannoni britannici, che stavano sparando a ventaglio sugli avversari. Riuscì a raggiungerli senza essere visto e salvò la situazione. Venne anche ferito e, poco tempo dopo, fu fatto prigioniero dai Britannici. Oggi il paese sembra essere governato da uomini come lui e come Smuts, Hertzog e Fourie, che trent’anni fa ci dettero grandi preoccupazioni.
 
   Il nostro treno, partito il 6 dicembre per il Natal, ha incrociato quello su cui viaggiava il generale Smuts, venuto a presiedere un congresso del partito del Sud Africa. Più si conosce la politica sudafricana, più si ammira Smuts. Egli è veramente un grand’uomo e se il paese riesce a rafforzarsi acquisterà stima e reputazione. Egli lavora per l’Africa come un africano e la sua Africa è una terra unita, nella quale i Boeri e i Britannici vivono come fratelli. I suoi oppositori, i nazionalisti, capeggiati da Hertzog, hanno una concezione più ristretta di un paese prevalentemente olandese. Il loro punto di vista è molto chiaro e se fossimo del loro sangue penso che lo apprezzeremmo. E’ la loro terra, dicono. Essi l’hanno fondata e ampliata, hanno conquistato la natura e i selvaggi. Per evitare i Britannici, si sono spostati sempre più lontano e, malgrado ciò, adesso si ritrovano a far parte dell’Impero. Se di giogo si tratta, è un giogo leggero, ma la creatura che deve sopportarlo è fiera e irrequieta. Dopo il mio ritorno a casa ho appreso che i Nazionalisti hanno vinto le elezioni del 1929 con una grande maggioranza, ma Smuts vincerà sulla lunga distanza.

  Il 5 dicembre abbiamo attraversato la fertile pianura che separa Bloemfontein dal Natal, una meravigliosa distesa verde e gialla, con strisce color caffè, dove si aprono i dongas, le forre prosciugate dal sole. A lunghi intervalli, le accoglienti case bianche fanno capolino fra gli eucalipti che le avvolgono come un nido verde. Sulla pianura dolcemente ondulata sorgono i kopjes, isolati, fantastici, turriti, merlati e meravigliosamente bizzarri. Al museo di Città del Capo ho comprato un opuscolo sulla geologia del paese, che non mi è stato molto utile. Gli studiosi di scienza non sembrano rendersi conto che le persone incolte come me non ricavano nulla dal loro gergo. Pur avendo letto tutto il libro, non ho trovato alcuna spiegazione razionale alla domanda di chi osserva il paese con occhi dietro ai quali c’è un cervello: “Come mai i kopjes, queste formazioni uniche al mondo, che si stendono per migliaia di miglia, si trovano proprio qui?” La spiegazione più plausibile è che il livello dei kopjes sia quello originario di tutta la pianura sabbiosa, abbassatasi nel tempo per l’azione del vento, della pioggia e delle tempeste di sabbia. Le parti più dure e pietrose non si sono dissolte altrettanto in fretta – anche se si stanno dissolvendo – e sono rimaste a spingere la loro strana sagoma  fuori dalla pianura infossata.
Fino a quando non troverò una spiegazione migliore, mi dovrò accontentare di questa.
 
   Il passaggio dall’alto veld dove eravamo ieri alla vegetazione lussureggiante semitropicale del Natal in cui siamo entrati questa mattina, è meraviglioso. Siamo arrivati a Maritzburg alle 5.30 del mattino e persino a quell’ora improba abbiamo trovato il signor Mason ed altri Spiritisti locali ad attenderci sulla banchina, mentre il signor Etellin, il bravo direttore dell’Hotel Imperial, ci è venuto incontro per darci il benvenuto. Il suo albergo è molto confortevole e non potremmo essere alloggiati meglio.
La sera, alla riunione in municipio, che spero di aver tenuto bene, è stato incaricato della presidenza il signor Mason, un ardente Spiritualista, ex sindaco della città. Il grande caldo deponeva a sfavore di una partecipazione numerosa, ma il risultato è stato ugualmente notevole. Avevo passato la giornata visitando la città, vivace e prospera, con 25.000 abitanti, situata in quella che si potrebbe chiamare la zona collinosa dell’alto veld. La sua altitudine di 1800 piedi costituisce un punto intermedio per quelli che vivono più in alto o più in basso e che desiderano un cambiamento di clima. Siamo spaventati al pensiero che a Durban  faccia più caldo perché questo è il massimo che possiamo sopportare. Ho fatto due nuotate per alleviare la calura ma, anche così, rimane lo stesso il limite.
 
   C’è un eccellente museo con alcuni dipinti boscimani, ma quello che mi ha incuriosito di più è stata una moneta trovata negli scavi per le fondamenta di un edificio. E’ un bronzo dell’antica Giudea con il disegno di un calice, risalente al 200 a. C. Come è arrivato in Natal un oggetto simile? Un baratto, un naufragio o altro? Sarebbe un argomento eccellente per uno psicometrista.
Il museo che mi ha interessato di più è stato il Voortrekker, contenente le vestigia dei pionieri boeri, che per molti aspetti ricordano quelle dei Mormoni a Salt Lake City. Per cominciare, c’è una carrozza coperta, simile alle diligenze con cui Brigham Young attraversò la prateria. Ma la parte più interessante è la collezione di vecchi fucili a pietra focaia e i fucili per elefanti con cui quegli uomini straordinari sconfissero gli Zulu. Ci sono anche quadri che fanno comprendere un episodio storico che merita una digressione.
 
   Il 1835 fu l’anno del grande spostamento dei contadini boeri dal Capo. Migliaia di essi andarono verso Nord per sottrarsi alle sgradite leggi britanniche e all’inaccettabile abolizione della schiavitù, considerata giovevole e morale da quei Puritani del Vecchio Testamento. Essi si diramarono in tante direzioni e nel 1838 lunghe file di carri trainati dai buoi, stipati di donne e bambini, scortati da un nugolo di uomini a cavallo arrivarono nel Natal settentrionale, riversandosi giù dai passi. Proprio allora la Gran Bretagna aveva esteso il suo dominio fino al Natal meridionale e aveva conquistato Port Natal e Durban. Fu così che, dopo tutti gli sforzi che avevano fatto, i Boeri si ritrovarono faccia a faccia con coloro dai quali erano fuggiti. Il Natal a quel tempo era praticamente spopolato perché il terribile Panda, figlio di Chaka, e la sua feroce tribù avevano ucciso tutti, ad eccezione di poche creature che si erano nascoste nelle strette gole delle montagne. Panda fu assassinato da Dingaan, che gli successe. I Boeri lo considerarono il legittimo proprietario, per diritto di conquista, e si affrettarono a chiedergli una garanzia legale. Il loro leader, Piet Retief, si recò al kraal di Dingaan con settanta uomini per ottenere il prezioso documento che avrebbe garantito la loro posizione nei confronti dei Britannici. Dingaan li convinse a lasciare i cavalli e i fucili fuori dal kraal, poi li uccise tutti. Nel museo c’è uno schizzo straordinario nel quale si vede Dingaan con una faccia diabolica che balza in piedi all’improvviso e dà il segnale per il massacro, colpendo l’aria con la sua zagaglia. Anche le facce sconvolte, indignate e dolenti dei Boeri sono mirabilmente raffigurate.
 
   L’atto successivo del dramma è stato anche più terribile. Gli Zulu piombarono addosso ai laagers di sorpresa, uccidendo tutti quelli che incontravano. Morirono seicento persone. Ancora oggi questo distretto si chiama Weenen, il posto delle lacrime.
Poi arrivò il terzo atto, nel quale, come deve essere, il cattivo viene punito. Quegli individui coraggiosi si riunirono e attesero l’attacco degli Zulu. Sistemarono i carri in modo da formare un quadrato, al centro del quale misero le famiglie e i beni, chiudendolo con delle catene di ferro. Poi, con nervi saldi e mira precisa, usando i fucili che sono oggi al museo e che ho preso in mano, essi diedero una bella batosta agli Zulu, tanto che ancora oggi il posto si chiama Fiume Insanguinato. Quarant’anni dopo, i Britannici compirono un’impresa altrettanto grande a Rorke Drift. Al Fiume Insanguinato gli splendidi e disciplinati Zulu impararono, per la prima volta in vita loro, che sulla terra esisteva qualcuno più forte di loro. I Voortrekkers erano uomini terribili e meravigliosi. Al museo sono appesi i calzoni di cuoio di uno di loro, la cui circonferenza in vita doveva misurare non meno di sessanta pollici e, dato che è difficile immaginare un Voortrekker grasso, quell’uomo doveva essere un gigante.
 
   Prima di cominciare a parlare di Durban, voglio riferire una storia raccontatami al termine della conferenza da un cittadino moderato, che gode di buona reputazione. La sua bambina era stata aggredita da un ragazzo kaffir mentre andava a scuola. All’improvviso, balzò fuori un cane, che attaccò il ragazzo mettendolo in fuga e poi accompagnò a casa la bambina. Tutta la famiglia gli accarezzò la testa e lo coccolò fino a quando, poco dopo, l’animale si smaterializzò davanti ai loro occhi. Era per metà Airedale e per metà terrier irlandese, non corrispondeva a nessun cane smarrito e non apparteneva a nessuno dei vicini. E’ facile definire falsa questa storia, ma oggi il mondo è più saggio ed è giunto il tempo di portare alla luce altri esempi come questo. La bambina naturalmente era medianica e il controllo, che i Cattolici chiamano Angelo Custode, ha prodotto la materializzazione. Non si tratta di miracoli, tutto può essere ricondotto a una legge naturale poco capita.  

 
 
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