Oceano solitario – Le cisterne di Salomone – Gli uomini chiave della nazione – Una città con un grande futuro – Una città morta – La Grande Piramide – Una giornata crowded – Malta – Titorno a casa.
Il mare fra Mombasa e capo Guardafui, la spalla orientale dell’Africa, è fra i più solitari che abbiamo attraversato. Per mille miglia non abbiamo visto neanche la vela di un dhow arabo. Neanche sulla costa desertica della Somalia italiana, che formava il nostro orizzonte occidentale, e sulla superficie leggermente mossa dell’Oceano Indiano abbiamo visto segni di vita. Mi sono chiesto perché la superficie del mare non fosse più popolosa dal momento che, a differenza del fondo, essa è piatta. Quando il giovane merluzzo dà un appuntamento alla sua bella, la superficie sarebbe il luogo più adatto, perché in profondità, dove il livello dell’acqua è diverso, c’è una maggiore difficoltà a incontrarsi.
Per alcuni mesi - in particolare in questo mese di marzo - c’è un aliseo costante che soffia da nord o nord est e che deve essere stato molto utile ai Fenici, i Portoghesi e agli altri navigatori di un tempo. Nel resto dell’anno, a partire da maggio, dalla direzione opposta, sud ovest, soffia il monsone, spesso con la forza di una burrasca. Con il progresso della navigazione aerea, le grandi correnti atmosferiche assumeranno un’importanza vitale per l’umanità.
Il 22 marzo abbiamo visto profilarsi in lontananza davanti a noi le “rocce brulle di Aden”, che sono quelle di un vulcano spento. Esse fanno parte della Rift Valley e sono un collegamento fra quelle dell’Africa centrale, che abbiamo visto, e il Mar Morto. Non avevo mai visto le grandi cisterne per l’acqua piovana attribuite al re Salomone, così siamo sbarcati per visitarle. Non immaginavo che fossero così grandi e così ben costruite. Per secoli esse sono state riempite di rifiuti, ma i britannici le hanno ripulite e rese funzionanti. Mi sembra che un congegno così elaborato per approvigionare d’acqua le navi dimostri che il paese è stato molto arido per almeno tremila anni. Un Arabo mi ha detto che pioveva ogni tre anni circa e che quando arrivava la pioggia era così impetuosa che gli enormi pozzi si riempivano in poche ore.
Dietro alla città c’è l’entroterra dello Yemen, poco conosciuto anche se molto vicino alle principali strade commerciali. Durante la Guerra, qui c’è stato un gran numero di combattimenti confusi, che hanno portato morte e sofferenza a molte persone e che non saranno mai capiti dal mondo. Chi ha mai sentito parlare, per esempio, del Primo Battaglione Fanteria Leggera Yemen, il cui nome ho visto su un Memoriale?
Ultimamente, le mie svariate letture hanno incluso un libro, Gli uomini chiave della nazione di William Coomb, che merita un po’ di attenzione. Esso mi ha colpito perché contiene le rimostranze degli ufficiali di marina. Nella mia vita vagabonda ho avuto modo di rendermi conto delle qualità straordinarie di questi uomini e delle gravi invalidità di cui sono vittime. Essi sono indispensabili alla comunità e meritevoli di un buon trattamento, essendo responsabili di molte vite e di carichi di gran valore. Ma la loro paga è di almeno un terzo inferiore a quella che dovrebbe essere e il loro lavoro li tiene lontani dalle famiglie per periodi insopportabilmente lunghi. Per un capitano nel Servizio mercantile avere tre settimane all’anno da passare con moglie e figli è una circostanza eccezionale e non esistono i fine settimana, le festività legali e le feste di cui usufruisce un lavoratore civile. Per ovviare a questi svantaggi, bisognerebbe avere a disposizione degli ufficiali in soprannumero da avvicendare all’organico normale. Questo comporterebbe un aumento dei salari e dei costi. Le Compagnie potrebbero dire che, essendo soggette a una dura concorrenza, un aumento delle spese di gestione assorbirebbe tutti i loro profitti. Ma se si considerano gli enormi dividendi e i bonus distribuiti da queste Compagnie durante la guerra – non erano rari bonus del 100 e persino del 300 per cento sui dividendi più alti – si comprende che i Direttori non avevano il diritto di utilizzare tutti i profitti e che avrebbero dovuto accantonare una porzione di risparmio per gli uomini che comandano le navi. Non bisogna dimenticare che il capitale azionario di molte grandi Compagnie è stato pesantemente indebolito, così che in questo momento i numeri non rappresentano la loro vera posizione e un dividendo del sette o otto per cento potrebbe essere di più di quello che era sul capitale originale.
E’ una questione che dovrebbe essere esaminata da una commissione efficiente e la causa degli ufficiali dovrebbe essere presa a cuore da un parlamentare generoso come è stato Plimsoll nel passato. Quando le compagnie erano relativamente piccole, esse trattavano direttamente i loro affari e fra i datori di lavoro e gli impiegati c’erano rapporti più umani. Ma in questi tempi di grandi concentrazioni d’aziende, in cui gli interessi degli armatori sono nelle mani della Società Armatrice, gli ufficiali sono impotenti ed è grave che questi uomini, così indispensabili al paese, siano insoddisfatti. Una delle prime raccomandazioni della Commissione dovrebbe essere quella di porre un freno al numero di candidati a una professione in cui c’è già un’eccedenza di personale. Le mie osservazioni non sono basate sui libri o sulle opinioni di poche persone, ma su una vasta conoscenza dei bisogni della nostra Marina Mercantile.
Ma lasciamo da parte queste digressioni e veniamo al Mar Rosso, sul quale stiamo navigando in questo momento. Non so perché sia stato chiamato Mar Rosso, dato che, guardando fuori dall’oblò mentre scrivo, mi sembra la distesa d’acqua più blu che io abbia mai visto. I ragazzi ed io, insieme al grande baritono Eric Marshall, abbiamo passato una parte del tempo a sporgerci dalla prua per scrutare le profondità, oltre la linea di piè di ruota. Abbiamo visto alcuni pesci non comuni, prima che fuggissero disturbati dalla corsa della nave. Fra di essi alcuni squali, molti delfini, una tartaruga, un serpente di mare verde, un pesce ago e altri. Oggi, 23 marzo, abbiamo oltrepassato le rocce dei Dodici Apostoli e domani dovremmo attraccare a Port Sudan.
Questo luogo è stata una grande sorpresa per me. Non c’è dubbio che la città, fondata di recente, sia destinata a essere importante. Quando attecchì l’idea di costruire una ferrovia che collegasse il Sudan al Mar Rosso, venne scelto come terminus il vecchio porto di Suakim, ma la navigazione era molto difficile. Allora si optò per una baia che si trovava a 40 miglia a nord, ritenuta più adatta e la città è stata costruita vicino a quest’ultima. Poiché è l’unico sbocco al mare e poiché la produzione del Sudan è in continuo aumento, essa avrà presto i privilegi statutari di una città. Il porto è dotato di attrezzature moderne per il carico e lo scarico, di enormi magazzini e di tutti gli accessori necessari e il traffico è molto intenso. Quando siamo arrivati c’erano almeno 2000 tonnellate di merce – principalmente semi di cotone, da cui ricavare olio – e sulla banchina erano ammucchiati altri carichi.
Lo svantaggio - o il vantaggio, dipende dalle esigenze personali - di viaggiare su navi da carico è che si può venire bloccati dovunque, senza preavviso e il giorno di arrivo diventa incerto. Di sicuro non arriveremo a Marsiglia con la puntualità che spacca il minuto con cui i bastimenti di linea Cape giungono in porto rombando, dopo aver aggirato l’isola Robin. Nel nostro caso, ci voleva almeno un giorno per caricare tutta la merce. Inoltre, quando ci sono tre argani che cigolano e martellano tutto il giorno, la nave non è un bel posto dove stare. I ragazzi e Billy erano contenti di nuotare nello specchio d’acqua circondato dalla barriera corallina e di andare a pescare gli squali. Mia moglie ed io, invece, abbiamo deciso di andare a visitare in treno l’antica e caratteristica città di Suakim, situata a 42 miglia. La ferrovia attraversa un deserto in cui crescono qua e là gli arbusti di cui si nutrono i cammelli e dei bassi cespugli di mimosa.
Abbiamo oltrepassato il campo di Handoub, dove fu massacrata una colonna egiziana e dobbiamo anche essere passati vicino a El-Teb, dove i Britannici hanno vendicato la morte di quei soldati. Il treno si è fermato a una certa distanza dalla città, costringendoci a una faticosa camminata nella calura, prima di tornare all’ombra gradita della nostra carrozza. Siamo passati attraverso una porta chiamata Gordon Gate, che apre una breccia nelle vecchie mura scure di pietra corallina che circondano la città e siamo entrati in una periferia molto popolosa. Poi abbiamo attraversato un ponte e siamo entrati nella città vecchia, situata sull’estremità della penisola con il mare tutt’intorno. E’ un posto da incubo, una città abbandonata composta di antiche case bianche, enormi, con parti in legno molto decorative, che un tempo appartenevano a dei ricchi mercanti e a dei nobili. Adesso è un luogo morto come Pompei. Fatta eccezione per due Arabi sul molo, intenti a pulire un grande mucchio di pesci argentei, somiglianti agli abramidi, non abbiamo incontrato anima viva. Sembrava uno di quei luoghi impossibili che si vedono in sogno. L’incantevole acqua blu diventava verde smeraldo nei punti poco profondi, dove c’erano banchi affioranti di sabbia dorata e luccicante, e copriva in parte le grandi case bianche simili a tombe. Alla fine, abbiamo ripreso la strada verso il treno che ci attendeva.
I turisti dovrebbero tener presente che i musulmani considerano sconveniente ogni rappresentazione del corpo umano e che presso di loro le fotografie sono impopolari. E quando si è ai confini della civiltà, più che nelle grandi città, questa avversione può portare a situazioni pericolose. Sulla via del ritorno, mia moglie ed io ci siamo fermati a guardare due Arabi dall’aspetto fiero e dal viso scuro come il mogano, appartenenti alla vera stirpe del deserto, con i pugnali appesi al fianco, in piedi a chiacchierare accanto al Gordon Gate. Quando mia moglie ha fatto un movimento con la macchina fotografica, uno di essi, con uno sguardo torvo, ha spinto indietro la tunica e impugnato il pugnale infilato nella fusciacca arrotolata in vita. Mia moglie, con un gesto della mano, ha indicato che quello che le interessava fotografare era la vecchia porta. L’uomo ha mantenuto la sua aria scontrosa, ma l’incidente era risolto. Lo stesso giorno e per lo stesso motivo, il cantante Eric Marshall è stato aggredito da un Fuzzy sul molo vicino alla nave. Apparentemente, in questa regione non vi sono soldati e vi è poca polizia, così che i nativi, forti e bellicosi, fanno quello che vogliono.
La nostra nave è piena di ufficiali e di proprietari di piantagioni che tornano a casa per un periodo di riposo. Sono persone magnifiche e i loro numerosi bambini hanno un aspetto sano, che smentisce la teoria secondo la quale ai tropici si verifica una degenerazione della razza. Parlando con questi pionieri dell’Impero si ottengono informazioni interessanti. Mi hanno sorpreso alcuni fatti riguardanti il Tanganyka, ultimamente Africa orientale tedesca. Le esportazioni di questa colonia superano quelle del Kenya. Questo si spiega con il fatto che, benché in Kenya vi siano dodicimila bianchi contro i cinquemila del Tanganyka, in Tanganyka ci sono 4.500.000 nativi, in Kenya solo la metà. I nativi si dedicano alla coltivazione del caffè e ad altre attività in proprio e hanno aumentato le esportazioni, che si aggirano oggi intorno ai 3.800.000 di sterline per il Tanganyka e ai 3.300.600 per il Kenya. I due stati, come ho cercato di dimostrare, hanno fatto scelte opposte. Il Kenya vuole essere un paese di bianchi, il Tanganyka cerca di essere un paese di neri con una soprintendenza bianca. L’alternativa fra questi due modelli è una questione di grande importanza per l’Impero.
Un piantatore di grande esperienza, persona molto ragionevole, mi ha confermato che le mie conclusioni sull’inutilità delle Missioni, da un punto di vista religioso, erano assolutamente fondate. I migliori sono i Padri Bianchi, cattolici, insieme ai Luterani tedeschi, ma i Maomettani sono più adatti ai bisogni e alla mentalità dei nativi. Le Missioni sono preziose come centri di civilizzazione e per l’istruzione medica, è l’insegnamento religioso che sconcerta e rende perplessi i nativi, che non riescono a capire le dottrine di così tante sette in rivalità fra di loro.
Venerdì 29 marzo è stata una giornata febbrile, nella quale abbiamo portato a termine un programma record di attività. Nessuno può accumulare più impressioni in un giorno solo e, anche se buona parte del paesaggio mi era già familiare, esso era nuovo per i ragazzi e noi genitori abbiamo goduto in modo riflesso del loro piacere.
A Suez, abbiamo lasciato la nave alle sei di mattina e percorso 100 miglia del deserto più proibitivo che esista sulla terra. Finalmente siamo giunti al Cairo, dove sono stato sorpreso dal progresso della città. Ho visto ovunque segni di crescita e di opulenza, che la rendono una capitale adeguata. Io la conoscevo bene nel 1896, ma i miglioramenti sono così grandi che non sarei riuscito a riconoscerne alcune parti.
Dopo una sosta all’hotel Shepheard’s ci siamo diretti verso le Piramidi e la Sfinge. A Mena tutta la famiglia è salita sui cammelli ed è andata a visitare i luoghi d’interesse, mentre io sono rimasto in attesa sulla veranda dell’hotel Mena. Per più di un’ora ho osservato con il binocolo l’apertura della Grande Piramide, esaminando la perfetta arte muraria con cui sono disposti i sassi, questi enormi monoliti eseguiti con un’accuratezza assoluta, che formano l’angolo sopra la porta.
Non sono un Britannico israelita, che non crede che in tremila anni un popolo possa cambiare le proprie caratteristiche, ma non invidio l’uomo che può contemplare senza timore reverenziale e senza meraviglia il problema tremendo che la Piramide presenta. Non c’è dubbio che la direzione e l’altezza dei passaggi abbiano un significato ben preciso, ma quale sia questo significato e perché l’entrata sia stata chiusa con un blocco di granito è il più grande enigma che una generazione abbia lasciato a quella successiva. L’unico argomento valido a favore della tesi che il loro messaggio sia destinato ai Britannici è che noi siamo gli unici ad aver conservato il pollice come misura e sembra che il pollice sia l’unità di ogni cifra sulle pietre di questo edificio. Questo potrebbe essere vero, tuttavia, senza portare a identificarci con antenati semitici. Il fatto che le misure coincidano con date storiche precise, come è stato dimostrato, è una coincidenza straordinaria, se è una coincidenza. Ma anche qui non c’è bisogno di tirare in ballo nessun intervento divino. Anche allora c’erano i veggenti, che hanno usato una facoltà psichica abbastanza comune, che forse in passato era più chiara e forte di adesso ed è meraviglioso che le loro profezie siano state rappresentate sulla pietra.
Facevo queste riflessioni mentre osservavo la meravigliosa struttura della piramide e attendevo il ritorno dei cavalcatori di cammelli. Malcolm è tornato tutto in disordine, lamentando l’assenza di un volante. Abbiamo ripercorso le 7 miglia che ci separavano dal Cairo e, dopo aver pranzato, siamo andati al museo a vedere gli splendidi resti del re Tut. Questo re, morto all’età di ventotto anni, aveva una faccia gentile e piuttosto debole. Dopo quaranta secoli sappiamo più cose sul suo ménage di quante ne sappiamo su ogni altro monarca della storia. Doveva essere sontuoso e nessun altro oggetto che abbiamo visto può stare alla pari con questi, per il disegno artistico, il colore, l’abile incastro di metalli e pietre preziose, un sarcofago dentro l’altro, che sembravano non avere mai fine. Alcuni erano arrivati al museo solo la settimana prima, perchè la tomba continua a rivelare nuovi segreti. Se queste erano le insegne della regalità e se i nobili erano vestiti con altrettanto sfarzo, la magnificenza dell’antica corte egiziana doveva essere smisurata.
Dal museo siamo passati alla moschea di Maometto Alì, grande soldato e furfante sanguinario che assassinò l’intera guardia del corpo e che tagliò le mani all’architetto della moschea per impedirgli di fare altre opere. E’ più piccola e meno ornata di S. Sofia, ma è modellata in modo più delicato e costruita con materiali più preziosi. Siamo poi entrati nella cittadella, in un angolo della quale era seduto un gruppo di Tommies britannici, uomini del South Wales Borderers. La fanteria non sembra essere numerosa in questa città e i soldati sono quasi tutti molto giovani, svegli, vivaci e con una buona reputazione, ma fisicamente non reggono il confronto con i vecchi egiziani. Ci sono numerosi aviatori nelle loro uniformi blu scuro e ho notato alcuni artiglieri e uomini addetti ai carri armati. Ho visto con sorpresa che, a causa dagli assalti in strada, contro i quali la baionetta non è efficace, ogni soldato porta appeso alla cintura un bastone con un manico di legno e una testa di metallo. E’ una delle prove che ci sono delle correnti sotterranee sotto alla superficie calma.
Dalla Cittadella siamo andati al bazar a fare acquisti, poi di nuovo all’hotel Shepheard’s e di là a prendere il treno per Port Said, dove, verso le dieci, abbiamo raggiunto la nostra nave, che aveva appena terminato l’attraversamento del canale. Abbiamo avuto poche giornate più piene di impressioni di questa.
Siamo sul Mediterraneo e ci stiamo avvicinando a Malta, che dovremmo raggiungere stanotte. C’è un vento forte, proveniente da nord, che soffia sui nostri visi e tutt’intorno a noi si stende il cerchio blu del mare illuminato dal sole, non interrotto da ombre né da vele. Mi fa venire in mente l’audace similitudine del caro, vecchio, Frank Bullen – non so se blasfema o magnifica – che paragona un mare come questo all’occhio di Dio.
Le persone che sono venute ad ascoltare la conferenza che ho tenuto sabato sullo Spiritualismo erano attente e partecipi e fra di loro c’erano, sono contento di dirlo, molti membri dell’equipaggio. Io ho un’opinione conservatrice rispetto alla situazione religiosa attuale e faccio sempre notare che un conto è raschiare i crostacei dal fondo della vecchia nave, un altro è farla affondare aprendo una falla mentre si eliminano le incrostazioni . Il giorno dopo era Pasqua e deve essere stato inculcato nelle loro menti che le nostre considerazioni erano futili e assurde, nel corso della Messa, nella prima delle quali ci venne imposto di uccidere una capra o una pecora, sotto pena della collera di Dio, di mangiarla con erbe amare e di bruciare i resti. Era questo il messaggio cristiano per il giorno di Pasqua! E’ questa roba polverosa, antiquata e superata, che non ha relazione con le nostre vite, che ingenera avversione per la religione, inducendo le persone a respingerla in blocco, senza distinguere fra l’essenza divina e le assurdità umane.
Ho passato una parte della giornata a scrivere una lettera, destinata all’archivio di documenti sul paranormale, in cui esprimo il mio punto di vista sull’azione da intraprendere in vista delle prossime elezioni. Io non ricopro posizioni ufficiali - a meno che la presidenza della Federazione Internazionale o dell’Associazione Spiritualista di Londra me ne conferisca una – e il mio è uno sforzo individuale. La follia del Ministro degli Interni Sir William Joynson Hicks nel perseguitare i nostri medium e gli ufficiali delle nostre Società mi sembra che abbia reso impossibile sostenere questo partito. Degli altri due partiti, credo che dovremmo sostenere quello che ci dà maggiori garanzie. Non vogliamo incoraggiare gli imbroglioni e ciarlatani, ma attualmente la legge inglese nega l’esistenza di poteri spirituali. Anche il circolo degli Apostoli sarebbe stato esposto al rischio di arresto quanto i nostri medium. Questa situazione è intollerabile e penso che dovremmo usare il nostro potere politico per correggerla. Non siamo deboli. In un recente sondaggio sul Daily News settemilacinquecento lettori hanno risposto che eravamo nel giusto, meno di tremila che eravamo in errore.
Malgrado il poco tempo trascorso a Malta, siamo rimasti stupiti dalla bellezza degli edifici, dall’aria di prosperità e dal carattere pittoresco della Valletta. Dato che ho l’onore di appartenere all’ordine dei Cavalieri di S. Giovanni, ero particolarmente interessato alle loro spoglie mortali. Mi auguro che nel nostro aspetto vi sia qualche somiglianza con la bella statua del Grande Maestro dell’Ordine, che si trova a metà strada sulla via principale. Egli sta ritto con le mani sull’impugnatura della spada e con lo stesso cipiglio con cui affrontò Barbarossa e i suoi uomini. Le mura imponenti e i fossati che egli difese così bene sono ancora tutti in piedi e gli Ospitalieri sono sopravvissuti di molti secoli all’Ordine dei Templari, mostrando la maggiore considerazione in cui erano tenuti.
L’imbocco della baia attraverso cui abbiamo lasciato Malta è stato il mitico scenario del naufragio di Paolo e porta ancora il suo nome. Non ho dubbi che sia questo il posto. Paolo era già un uomo famoso e, per venirgli incontro al suo arrivo, i Cristiani di Roma avevano camminato un giorno intero. Perciò i dettagli della sua grande avventura sono ben conosciuti ed è improbabile che siano stati commessi errori sul luogo in cui è accaduto l’incidente. Noi Spiritualisti abbiamo ragione di onorare Paolo, perché è stato il primo a fare una lista delle capacità di un medium.
Passare da Paolo ai macchinari moderni è un bel salto, tuttavia, lo stesso giorno, sono sceso nella sala macchine della nave per esaminare le turbine a olio. L’opinione degli ingegneri navali è che, malgrado i vantaggi temporanei dell’olio, che riduce il numero di addetti necessario, il carbone continuerà a prevalere. Un’invenzione recente prevede di ridurlo in polvere e di soffiarlo nella caldaia attraverso ai tubi, come si fa con l’olio. Alcune navi hanno già in dotazione questo sistema, che sembra avere un futuro.
Questo è il viaggio più tranquillo che abbia mai sperimentato. Durante le migliaia di miglia percorse, ci siamo accorti a malapena del movimento della nave. Penso alla profezia della mia veggente Zulu, secondo la quale avremmo attraversato felicemente e senza rischi le acque scure, dopo aver portato a termine con successo la mia missione. Sulla nave molto dipende dal capitano e sarebbe ingiusto sceglierne uno fra i tanti che abbiamo avuto, tutti bravi, per lodarlo/tesserne le lodi. Tuttavia, del capitano Gilchrist posso dire che egli si prende cura della nave e dei suoi passeggeri più di ogni altro con cui ho navigato in precedenza. A volte, siamo stati costretti ad esercitazioni in orari strani. Abbiamo indossato le cinture di salvataggio, ci siamo radunati in coperta e due volte la settimana le scialuppe sono state fatte penzolare fuoribordo, per controllare che i paranchi fossero in ordine. Sono sicuro che su altre navi questa operazione farebbe scoprire che i cavi tiranti non scorrono dentro ai fasci mannelli come dovrebbero, quando sono sotto sforzo, o che le gru d’imbarcazione sono arrugginite o che c’è qualche pezzo mancante. Sono tutte cose che ho visto accadere, perciò so di che cosa parlo. Il Ministero del Commercio farebbe bene a rendere obbligatori le esercitazioni e i collaudi delle scialuppe una settimana prima della partenza delle navi per lunghi viaggi.
Stiamo attraversando le Bocche di Bonifacio e fuori dell’oblò, si vede il promontorio roccioso della Sardegna da una parte e le cime coperte di neve della Corsica dall’altra. Davanti a noi si stende il Golfo dei Leoni (non di Lione, come molti pensano) e il nostro albero di bompresso punta verso Marsiglia. Fra un giorno, il nostro lungo viaggio sarà giunto al termine.
Chiudo questo racconto con animo riconoscente. Leggendo le prime righe di esso, rivedo il prato della New Forest con le foglie scure sospinte sull’erba e i grandi alberi piegati dal vento autunnale. Adesso lo troverò ricoperto della tenera erba primaverile. Fra la caduta delle foglie e la loro ricrescita, sono accadute molte cose a me e alla mia famiglia. Eravamo partiti con un intendimento e lo abbiamo realizzato al di là delle nostre più audaci speranze. Torniamo con una salute migliore e una fede più convinta e con un desiderio di combattere per la grande causa della rigenerazione della religione e del ripristino dell’elemento spirituale, unico antidoto al materialismo scientifico. Per questo e per i molteplici doni del cielo ringraziamo con molta umiltà gli esseri invisibili che ci sono venuti in aiuto e che sono stati al nostro fianco.